Mercante di storie.

Libertà l’ho vista dormire
nei campi coltivati
a cielo e denaro,
a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato.

Respiro.
Accosto a lato della strada e lascio che sia la musica di Faber a quietare quest’ansia che mi si forma dentro, mi pesa addosso, mi trascino dietro.

Mi piacciono i miei nuovi panni, il nuovo profumo sul cuscino, i capelli sul cappotto. Mi ci posso abituare, ma il prezzo da pagare è riuscire a sanare quel che di vecchio di aggiunge a quanto già accantonato, in quel cumulo di pensieri e sono stato che nascondo nel mio bagaglio a mano, la stessa che pulsa nella ventiquattrore che ho messo via e non uso più così sovente.

Accontentarsi. Questo non m’è mai riuscito bene, ma se non altro ci ho sempre provato, fino ad abituarmi, alle volte.

La verità è che non ascoltiamo la stessa musica, che talvolta mettevo su, ma tempo addietro, con altri gusti. Gusti che cerco di spremere fino a farmela piacere di nuovo.
La verità è che la fobia per i piedi, il fastidio per le mani nei capelli, lo scazzo che parte senza accenno di logica, la porosità della pelle lungo la schiena e come si inarca quando le si fanno i grattini, queste ed altre caratteristiche non fanno che ricordarmi giorni che non ti riguardano affatto. Non sono tuoi e non sono miei, seppure a logica lo sono stati.
Sono cose che ho amato, usate fino al midollo, odiate.

E poi c’è questa gabbia fisica. Questo corpo debole al sudore. Quest’acquila che hanno convinto gallina per un tempo troppo lungo, fino a dimenticare come si vola.

E io, questo, ancora non so mandarmelo via. Mi lascio buttare giù.

Sono giorni sereni, se non altro.
Tutto a posto. Stanco. Deluso. Affaticato.
Sereno.

A confronto questo è il paradiso.

Il mercante di storie non racconta mai la propria.

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