Le mie sculture di cenere policroma.
Quanto tempo è che le cose non funzionano?
Avevo braccialetti diversi, un’altra collana, più capelli, più sicurezza in me e nel mio ruolo. Meno riguardo il mio futuro, ma a quello ci si pensa sempre dopo.
C’erano libri di Coelho, una lista contatti colorata, l’odio ingiustificato per un mondo che aveva come unica colpa l’essere più grande di noi e, se volevo farmi capire – e con qualcuno anche no -, c’era chi mi capiva.
Parlavo la metà e dicevo il doppio.
C’era il tempo e lo odiavo per quel che era stato e aveva portato, non mi spaventava. Non temevo nulla, in effetti.
Ascolto mia madre perdere colpi, di tanto in tanto, e immagino come sarà tra cinque, dieci, venti anni. Si allontanerà da me come io mi sto allontanando da lei, seppur siamo più vicini adesso di quanto siamo mai riusciti a fare. Sente il mio cuore battere nelle sue mani, come all’origine di tutto il mio percorso.
Qualcuno viveva la mia vita meglio di me, anche se si sentiva spento e aveva la presunzione di potersi liberare di tutto quel che aveva senza alcun rimpianto. Convinto che già gli fosse stata tolta la chance di vivere una vita normale.
Arrivarono i viaggi, l’indipendenza, il lavoro. Baci, incazzature, spremute di testa, anelli e bevute di cuore.
Quella voglia di essere in due, che ha reso flebile un’identità già approssimativa e l’ha rielaborata per renderla in qualche sorta incompleta e in altre inefficace, da sola.
Mi sono perso le ore, i giorni, i mesi.
Qualche notte, i giorni di festa, le angosce quelle sere a litigare in macchina.
La consapevolezza che sia necessario un restart completo e che non abbia senso tornare indietro.
Quell’amore che ho cercato in tutte le forme, non trovandolo più.
Il rossore delle gote per qualcun altro, che io ho portato a compimento. Indice di qualcosa che nasce e sintomo irrevocabile di qualcosa che muore. Spezza in due i pensieri e li mescola alla parata delle armi.
Sono quel che resta di quel che sono già stato l’altro ieri, non dovrebbe essere poi così difficile.
E ora ringhio che voglio essere lasciato in pace, che non mi interessa più, che non è più affar mio. E non mi va di ripeterlo.