aside 30/01 2009

    Dolcemente complicata.

    Inizio a pensarla diversamente sulle donne.

    Sono più abili, questo è chiaro. Riescono egregiamente in tutto quel che fanno, questo prima o poi sarà di dominio pubblico, serve solo tempo.

    Sono inevitabilmente bravissime anche a fare danni.
    Una cazzata, quando ti rapporti con un maschio è una cazzata. Una cazzata, la stessa medesima cazzata, rapportandosi con una donna può divenire qualcosa di incredibilmente casinoso. Mica per caso agli uragani danno nomi di donna.

    Quando una persona si convince tu la stia prendendo per il culo e nonostante ciò continua a illuderti che la vostra sia una storia fantastica, senza eguali, credo sia onestamente lei che sta pendendo per il culo te.
    Dica pure che rigiro la frittata, posso farlo. Ho crepe sulle uova.

    Faccia da poker, eh? Ma vaffanculo.

    Fold.

    aside 18/01 2009

    Regina e buffone di corte.

    Detesto il televisore perché mostra ciò che potrei essere, ciò che sarei se realmente lo volessi, perché mi illude che se, e se, e se. E se.

    Finge. Convince chi lo ascolta che tutto sia possibile, che l’uomo abbia il potere di trasmettere, far conoscere, insegnare attraverso una scatola, che si fa sempre più sottile e ampia, quel che è giusto da una parte, quel che è sbagliato dall’altra.
    Tutte stronzate.

    Se c’è una cosa che amo per la sua semplicità, quella è il cesso. Si, detto proprio papale papale, quel buco ceramicoso dove ogni giorno innumerevoli esseri umani depongono le proprie scorie puzzolenti.
    E lui ingoia, manda giù, fino a quando si blocca. A quel punto spurghi un po’ e la routine ricomincia.
    Il cesso è una figura vera, reale. Puoi mettere un cuscino al posto della tavolozza, gliela puoi fare di marmo, d’argento, d’oro, ma il suo comfort rimane quello: l’importante è che mandi giù tutto ciò che ci versi dentro.

    Puoi immaginare, tu che leggi, un cesso a forma di televisore?

    Appare.
    Appare sicuro di se. Appare intelligente. Appare dinamico. Quello che sa dirti qual’è giusto e qual’è sbagliato.
    Che si professa come tale almeno.
    Ingannevolmente bello fuori quanto sporco e puzzolente dentro. Pieno di merda.

    Mi hanno, ma probabilmente mi sono, dipinto un po’ così. Come un televisore, di quelli vecchi però, che non vanno mai troppo bene.
    Per maestri e professori sono sempre stato un elemento fastidioso, quello che "se si applicasse potrebbe fare molto, vista la sua intelligenza", parole di misura standard che tentavano di invitarmi a far qualcosa, ma che non sono mai riuscite nell’intento.
    Per mia nonna, invece, ero quello che "fa discorsi da vecchio", che ti rispondeva come avesse esperienza nonostante altro non fosse che un bambino.
    Per mio padre ero un coglione, questo bisogna ammetterlo. Troppo giovane per le sue esigenze, ancora fin troppo stupido per vivere nel mondo degli adulti dove lui aveva trovato radici. Fu forse l’unica persona sincera in quegli anni dove da destra e da sinistra mi lanciavano addosso speranze di miglioramento, di crescita, di maturità.

    Mia madre rimaneva neutrale, un po’ da una parte e un po’ dall’altra a seconda dell’esigenza. Fondamentalmente in tutti questi anni ha sperato scattasse qualcosa, ma non ha mai trovato riscontri positivi. Si è arresa vedendo in me un completo fallimento quando s’è resa conto che a 20 anni sono ancora fermo alla 3a superiore e corro in lungo e in largo per racimolare giusto quello spicciolo che mi fa arrivare a fine mese stringendo i denti. Ancora spera in qualcosa forse, ma non metto in dubbio che possa rimanere delusa di suo figlio per l’ennesima volta.

    Guardami, sono l’impersonificazione del fallimento, della sfiducia. Cattivo gusto, sapore acre da mandar giù il più in fretta possibile.

    Mi hanno gonfiato di cazzate, regalato visioni di un futuro preso in prestito, da restituire con gli interessi. Un futuro non mio, qualsiasi esso sia.

    E ora almeno una cosa, almeno una, devo riuscire a farla.

    Non so neanche da dove cominciare.
    Alla fine di tutto rimarrà una stanza piena, ma di scatole vuote. Non certo vuota con scatole piene.


    empty by =ueris

  • Parole. Sono tutte parole.

    • No soy extraño. Sólo no soy normal. – Salvador Dalì
    • Ты дала мне два дела
    • Che diavolo significa che avevo un bar?!
    • Dove diavolo sei, Carmen Sandiego?
    • L’essenziale è invisibile agli occhi
  • Roba buttata a casaccio.

    • Odi et amo
  • La gente dice, la gente pensa.

    • Giovanni on Il mio destino è vivere balenando in burrasca
    • LogorroicaMente on Come una goccia che scivola sul vetro.
    • LogorroicaMente on Sarai sempre il più bel posto dove rifugiarsi per poter credere che tutto andrà bene.
    • Pece on La prossima mi viene meglio.
    • chand on L’amore sta nelle case in rovina
  • Domani metto in ordine.

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